Soprattutto chi soffre di diabete di tt.ipo 2 (diabete mellito), nei cui confronti l‘alimentazione svolge un ruolo chiave, necessita di una dieta ad hoc. In questi casi, l’alimentazione corretta è quella che considera sia l‘indice glicemico sia il carico glicemico degli alimenti. Facciamo chiarezza con i consigli del prof. Nicola Sorrentino, direttore della Columbus Clinic Die.
Attenzione ai picchi di glicemia
La classificazione tra amidi e zuccheri, ovvero tra zuccheri semplici e zuccheri complessi, è ormai superata.
«Studiando chi è affetto da diabete di tipo II, ci siamo accorti che a fare la differenza non è la complessità dei carboidrati, ma la loro capacità di trasformarsi velocemente in zucchero nel sangue» spiega il prof. Sorrentino. «Una velocità che non è strettamente legata alla struttura chimica. Infatti, ci sono cibi che contengono zuccheri semplici che non provocano picchi della glicemia, per esempio il fruttosio, e alimenti contenenti amidi che invece la fanno impennare, come il riso» conclude l’esperto.
Indice glicemico
La nuova divisione fra carboidrati “buoni” e “cattivi” si basa proprio sulla capacità di ogni alimento di innalzare la glicemia.
L’indice glicemico è, dunque, la velocità con cui un carboidrato fa salire i livelli di glicemia. Per calcolare l’IG degli alimenti, esistono vere e proprie tabelle. In generale, si considera basso un IG inferiore a 55, medio un IG compreso tra 56 e 70 e, infine, elevato un IG superiore a 70.
«Ma l’indice glicemico da solo non basta. Perché insieme alla qualità dobbiamo misurare e tenere conto della quantità di carboidrati presenti nel piatto. Ci sono cibi, infatti, che hanno un indice glicemico alto ma contengono pochi carboidrati» spiega il prof. Sorrentino. «Dunque, nonostante questi alimenti vengano assorbiti velocemente, la loro quantità è talmente esigua da non causare un picco di glicemia» conclude l’esperto.
Lo strano caso delle carote
In molti sono convinti che mangiare carote cotte sia assolutamente vietato quando si deve tenere sotto controllo la glicemia. Ma è vero? L’esperto ci aiuta a fare chiarezza sullo strano caso delle carote.
«Le carote bollite hanno un indice glicemico elevato quasi quanto il glucosio: 92 le prime e 100 il secondo. Se ci basassimo solo su questo valore, quindi, uno dei cibi considerati salutari per antonomasia dovrebbe essere eliminato dalla dieta. Ma la differenza la fa, appunto, la quantità di carboidrati presenti: pochissimi nel primo caso, 100% nel secondo. Quindi, in una porzione media di carote bollite, i carboidrati, per quanto assimilati molto velocemente, sono troppo pochi per provocare un innalzamento importante della glicemia» conclude il prof. Sorrentino.
Carico glicemico
Non solo indice glicemico: per tenere sotto controllo i picchi di glicemia, occorre valutare anche il carico glicemico di ciascun alimento (che può essere molto distate, in termini di valori, dal suo IG).
«Il carico glicemico (CG) tiene conto sia della qualità sia della quantità di carboidrati presenti in una porzione di cibo» spiega il prof. Nicola Sorrentino.
Esistono, dunque, “doppie tabelle” che riportano sia il valore dell’indice glicemico (IG) sia quello relativo al carico glicemico (CG). In linea generale, si considera basso un CG inferiore a 10, medio un valore compreso tra 10 e 20, infine elevato un carico glicemico superiore a 20.
Grado di maturazione della frutta
Oltre a controllare sulle apposite tabelle l’IG (indice glicemico) e il CG (carico glicemico) degli alimenti, per tenere sotto controllo la glicemia è necessario conoscere anche altri criteri e “strategie”. Per esempio, nel caso della frutta, il grado di maturazione risulta determinante per calcolare la quantità di zuccheri in essa contenuti.
«Per citare un esempio classico, prendiamo una banana: ha valori che variano da 30 a 50 e oltre, in base al suo grado di maturazione. Infatti mano a mano che il frutto matura, l’amido che contiene si trasforma e diventa sempre meno resistente» spiega il prof. Sorrentino.
La conservazione
La freschezza di un alimento, e conseguentemente la lunghezza del tempo di conservazione dello stesso, sono determinanti per l’indice glicemico.
«Per fare un esempio pratico, le patate conservate per diversi mesi hanno un indice glicemico più elevato di quelle novelle. La ragione è sempre la trasformazione degli amidi contenuti nell’alimento» spiega il prof. Nicola Sorrentino.
Pasta, meglio al dente
Per tenere sotto controllo la glicemia, anche il grado di cottura degli alimenti è fondamentale. Per esmpio, se si ha voglia di un bel piatto di pasta meglio scolarla al dente. Il perché ce lo spiega il prof. Sorrentino:
«Consideriamo che 100 grammi di spaghetti al dente hanno IG medio/basso mentre basterà lasciarla sul fuoco per 15 minuti o più per far aumentare l’IG».
Quindi, l’indice glicemico della pasta di grano duro varia in modo direttamente proporzionale al grado di cottura.
Condisci il cibo
Un filo di olio EVO è un’aggiunta salutare, sia per il suo prezioso apporto di acidi grassi essenziali sia perché i grassi abbassano l’indice glicemico.
«Alla fine di un pasto il carico glicemico è dato dalla somma di tutto quello che si è mangiato. L’aggiunta di grassi, per esempio, abbassa il carico glicemico perché rallenta la svuotamento dello stomaco» spiega il prof. Sorrentino.
Aggiungi le fibre
Un buon apporto di fibre nella dieta è benefico sia per un regolare transito intestinale sia perché tiene sotto controllo i livelli di colesterolo “cattivo” nel sangue. Ma non solo: le fibre svolgono un ruolo importante anche per ridurre i picchi glicemici.
«Le fibre frenano l’assorbimento dei nutrienti, e questo si ripercuote positivamente sulla risposta glicemica» conclude l’esperto.
Benefica frutta secca
Dunque, le regole d’oro per abbassare l’indice glicemico (oltre al controllo delle tabelle di IG e CG) sono: condire i cibi, controllare il grado di maturazione della frutta e cuocere al dente. Ma ci sono anche ulteriori strategie alimentari per abbassare l’IG (indice glicemico).
«Un altro trucco per rallentare la velocità con cui i carboidrati si trasformano in zuccheri nel sangue è quello di aggiungere al pasto due o tre noci o mandorle, in generale frutta secca con guscio», spiega il prof. Sorrentino.
Attenzione ai picchi di glicemia
La classificazione tra amidi e zuccheri, ovvero tra zuccheri semplici e zuccheri complessi, è ormai superata.
«Studiando chi è affetto da diabete di tipo II, ci siamo accorti che a fare la differenza non è la complessità dei carboidrati, ma la loro capacità di trasformarsi velocemente in zucchero nel sangue» spiega il prof. Sorrentino. «Una velocità che non è strettamente legata alla struttura chimica. Infatti, ci sono cibi che contengono zuccheri semplici che non provocano picchi della glicemia, per esempio il fruttosio, e alimenti contenenti amidi che invece la fanno impennare, come il riso» conclude l’esperto.